. I piselli colti appena, devono essere sgusciati al momento e gettati in aqua bollente, salati leggermente e bolliti solo 15 o 20 minuti. Quanto più si lasciano bollire, tanto più perdono sapore e diventano duri, e questo si dica anche dei piselli secchi. Devono essere cotti in aqua abbondante, e, levati, farli subito scolare. Se secchi, sarà meglio gettarli in aqua fresca un'ora prima di cocerli e mettere un po' di zuccaro in quella nella quale bollono. La buccia fresca dei piselli, massime dei primaticci, facendola bollire assai e passata allo staccio, dà una sostanza che messa nel brodo fa la zuppa più saporita e gustosa. I piselli freschi e teneri sono più digeribili che i secchi, e si mangiano anche crudi. Si cucinano in diversi modi, colle minestre, colle carni, nei manicaretti. Accompagnano benissimo il capretto, il vitello, i piccioni e le anitre. In ogni caso, ripeto, non devono mai essere stracotti. I piselli si fanno seccare col medesimo metodo dei fagioli e degli altri legumi. Un modo facile e poco costoso è di distenderli su di un piatto o foglio di carta e farli essiccare in un forno abbastanza tepido da potervi tenere la mano. Si raggrinzeranno, ma saranno saporitissimi ed eccellenti per zuppa e ragoùts. Si conservano verdi nell'aqua e aceto e prima di mangiarli si lavano in aqua fresca. Devonsi però raccogliere perfettamente maturi, e si leva ai grani stessi la prima scorza. In Francia, colla buccia mista ad altre erbe aromatiche ed amare, si faceva una specie di birra, usata principalmente dai contadini. Nel Chili, è molto popolare la chicha de oloja, bevanda fermentata che si fabbrica coi piselli e col maiz. Nell'anno 1536, il cardinale Lorenzo Campeggio à dato un pranzo in Trastevere alla maestà cesarea di Carlo V, imperatore. Era giorno quadragesimale «et prima fu posta la tavola con quattro tovaglie profumate... et dopo vari serviti;» furono portati «piselli alessati con la scorza et serviti con aceto et pepe sopra, libre 8 in 4 piatti.» Poi dopo molti altri servizii «levata la tovaglia et data l'aqua alle mani si mutò salviete con forcine d' oro et d' argento con stecchi profumati in 12 tazze d' oro et mazzetti di fiori con garofoli profumati» e tra le altre cose furono ancora serviti «piselletti teneri con la scorza conditi, libre 6 in 3 piatti.» Tanto ci tramanda Bartolomeo Scappi, maestro nell'arte del cucinare, del quale papa Pio V dice:
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. I piselli colti appena, devono essere sgusciati al momento e gettati in aqua bollente, salati leggermente e bolliti solo 15 o 20 minuti. Quanto più
con mezzo etto di burro, un bicchiere d'aqua e 27 gr. zuccaro ed una presa di sale. Divenuti teneri, ritirateli dal fuoco e unitevi quattro tuorli di uova bene sbattuti, con un mezzo bicchiere di panna. Rimetteteli tosto al fuoco e, senza più lasciarli bollire, smoveteli continuamente finchè si vedano ben legati.
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con mezzo etto di burro, un bicchiere d'aqua e 27 gr. zuccaro ed una presa di sale. Divenuti teneri, ritirateli dal fuoco e unitevi quattro tuorli di
Ma invece pare che il primo sia stato un certo Adamo, consorte legittimo della signora Eva, che prima ancora di quell'ubbriacone di Bacco, lo volle mordere co' suoi candidi dentini. Può considerarsi maturo quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza e a cadere spontaneamente; indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi, importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'aqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco, anche
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disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'aqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a
. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori, designarono le frutta in genere, ma, se ciò avvenne, era perchè il pomo era il re, il capostipite di tutti i frutti e si prese il nome suo ad indicare tutto ciò che il regno vegetale produceva di bello e di bono a mangiarsi. Così tutti i barbari che calavano da noi, chiamavano l'Italia la terra delle dolci poma, cosi il frutteto fu chiamato pomarium. A Roma, il Dio del pomo, era detto Falacer, e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I Romani li facevano cocere nel vapore dell'aqua o sotto la cenere. L'arte di conservare le poma, era all'apogeo presso i Romani. Pollione dice di Gallieno:
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pomo, era detto Falacer, e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I Romani li facevano cocere nel vapore dell'aqua o sotto la cenere. L
Solone aveva ordinato che alla mensa delle nozze fossero apprestati dei pomi cotogni, agli sposi. Questo frutto non dura molto. Si candisce, se ne fa sciroppo ed una pasta nota sotto il nome di cotognata, chiamata dal Palladio Cydonitem, e di uso volgare nelle affezioni catarrali di petto. Entra nella mostarda. Un buon credenziere li serve in mille maniere, li coce nell'aqua, nel vino, li abbrustolisce sotto la cenere, ne fa torte, pasticci ed offelle. À virtù astringente. Da' suoi semi ovali, accuminati, se ne cava una mucilagine che, Pareira, chiamò cidonina, che la medicina adopera internamente a mitigare i dolori delle fauci e dell'esofago, prodotti da qualche acre, corrodente sostanza; esternamente, a modo di colirio nelle infiammazioni delle palpebre congiuntive; questa mucilagine à virtù analoghe alla glicerina. I parucchieri la vendono molto cara, sotto il nome di bandoline per lisciare e fissare i capelli. Teofrasto e Plinio ne parlano coll'aquolina in bocca; anzi, Plinio insegna a cocerli nel miele, Galeno e Paolo Egineta lo magnificano come migliore delle poma, e non solo gli decretano summam auctoritatem in mensis, et culinis, ma anche come medicamentum.
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nella mostarda. Un buon credenziere li serve in mille maniere, li coce nell'aqua, nel vino, li abbrustolisce sotto la cenere, ne fa torte, pasticci ed
Cotognata. — Prendete 4 chili di cotogni, fateli cocere in 10 litri d' aqua tagliati in quattro; ridotti in pasta, passateli allo staccio, aggiungetevi 3 chili di zuccaro, fate bollire a foco lento e ridotto il tutto in pasta consistente, versate nella forma.
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Cotognata. — Prendete 4 chili di cotogni, fateli cocere in 10 litri d' aqua tagliati in quattro; ridotti in pasta, passateli allo staccio
Si semina in febbraio su letto caldo e si trapiantano le pianticelle sviluppate quando non s' abbia più a temere il freddo e la brina. La troppa vegetazione è a scapito del frutto. Avvene molte varietà. Il pomodoro à germinazione fino ai 4 anni. Il rosso nano precoce, abbondantissimo di frutti grossi, succosi, saporiti, di lunga conservazione dopo colti. Il mostruoso conqueror, dà frutti enormi, da un chilogrammo. À fusto arboreo, così detto perchè si mantiene dritto e robusto a mo' di un alberetto senza sostegno e produce frutti grossi di un rosso assai intenso e si possono conservare più di qualunque altra varietà a frutti grossi. Il piccolo, a forma di pera, che à frutti a grappoli, sono i migliori per mettere in aceto e si conservano sospesi all'asciutto anche nel verno. Il rosso liscio, o senza coste, rimarchevole per la sua bellezza e grossezza. Il pomodoro è un frutto bello ed allegro. Ànno ragione i Francesi di chiamarlo Pomme d'amour. Ancor verde, a metà maturanza, se ne fa frittura aciduletta, si mangia in insalata, si mette nell'aceto per l'inverno. Maturo, rosso, se ne fa salsa gustosissima che oramai serve in cucina per pressochè tutti gli intingoli ed anche per confettura. Si può conservare il pomodoro per l'inverno, tagliandolo orizzontalmente, farlo così essiccare al sole dalla parte aperta e secchi infilarli collo spago e conservarli all'asciutto. Per servirsene, se ne prende la quantità bisognevole, e la si mette nell'aqua tiepida. Conserva così, meglio che altrimenti e la sua polpa e il suo profumo. Il pomodoro è meglio condimento, che cibo; non dà alcun nutrimento. È salubre, benchè contenendo molto acido ossalico, il suo uso troppo generoso e smodato, può disporre all'ossularia, produce vertigini, ronzìo, gastralgie ed altri disturbi nervosi. Il dottor Comi ce la dà molto grama pel pomodoro. Dice che tutte le sue varietà sono sospette, e parecchie nocive. La conserva del pomodoro, in forte dose, usata per condimento, conturba i sensi, agisce sul cervello, cagiona allucinazioni di vista, d'udito e di tatto, rallenta la circolazione, produce ronzìo negli orecchi, insomma un finimondo. Dicesi che una dose rilevante di questo estratto, può in alcuni individui produrre improvvisamente l'apanacea,ossia morte apparente misericordia! Ma, consolatevi, o ghiottoni di pomodoro, altri medici, come sempre, secondo il loro vizio, sono di parere contrario, e sostengono che il pomodoro agisce direttamente e vantaggiosamente sul fegato e valga a conservare la bella tinta del volto. Avviso alle donnine ! Dalle foglie del pomodoro se ne cava una tintura ocracea.
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collo spago e conservarli all'asciutto. Per servirsene, se ne prende la quantità bisognevole, e la si mette nell'aqua tiepida. Conserva così, meglio che
Conservazione del pomodoro. — Sceglieteli abbastanza maturi e non ammaccati, metteteli in un'olla e versatevi sopra dell'aqua salata nella proporzione di 80 grammi di sale per ogni boccale d' aqua. Coprite il vaso con un pannolino fitto e serbatelo in sito fresco.
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Conservazione del pomodoro. — Sceglieteli abbastanza maturi e non ammaccati, metteteli in un'olla e versatevi sopra dell'aqua salata nella
quella parte. Vuolsi che cotto e lasciato riposare 24 ore, acquisti di bontà. Se affonda nell'aqua è buono. Del seme generalmente si sceglie quello dell'anno antecedente, maturato sul proprio stelo, si toglie dall'interno del frutto e si fa asciugare senza lavarlo. Moltissime le sue varietà, tanto precoci, che tardive. Àvvene a polpa rossa, bianca, verde, gialla e sono caratterizzate dalle loro coste. Boni, anche i rampichini. Alcune varietà raggiungono enormi proporzioni e sono oltremodo profumate e gustose. La sua coltura riesce perfettamente in Italia, celebri quelli di Caravaggio, precoci, carnosi, tondi, a polpa gialla, ma non paragonabili a quelli dell'Italia Meridionale e singolarmente a quelli d'inverno, che ci vengono dalla Sicilia e dalla Basilicata. Fra le migliori specie si distinguono: il moscato di Spagna ed i cantaloup di Francia. Nel linguaggio dei fiori: Silenzio benevolo. La parola melone, da mela, quasi una grossa mela, ci venne dai Latini. Il popone è frutto saporito, aromatico, ma non è digeribile da tutti. I ghiottoni lo mangiano con zuccaro e pepe, il che ne facilita la digestione; è utile l'accompagnarlo con vino generoso o rhum. Si serve a tavola, per antipasto, coi salumi, per frutta da dessert; se ne fanno anche sorbetti. In cucina serve come la zucca, si taglia a bocconi in minestra e brodo grasso, si lega con ova e formaggio, e se di magro, si condisce con latte delle stesse sue màndorle. Le scorze si condiscono al miele, si candiscono e si confettano nell'aceto. Spogliate di quella prima pelle rustica tubercolosa, si fanno bollire col vino, e fatte asciugare al sole o al forno, si mettono in conserva, in mostarda. A fette sottili, essiccate, si conserva per l'inverno, che rinvenute nell'aqua tepida si conciano in minestra e se ne coprono i lessi. Dicesi che un pezzo di melone messo nella pentola acceleri la cottura delle carni. I semi si mangiano pure e sono dolcissimi, saporiti in confettura. Pestati, servono a fare lattate e da famosa semata, la prediletta dei nostri nonni. In medicina, tali semi danno emulsioni emollienti e rinfrescanti. I Greci, lo avevano per frutto nocevole, e producente febbri miasmatiche ed affezioni cholerose. In Francia, per molto tempo fu il cibo dei soli muli. In Spagna ed Italia fu sempre onorato: nel 1600 erano celebri quelli di Ostia. Il papa Paolo II morì per indigestione di melone. Clemente VII li prediligeva sì, che malato, era il solo cibo che gradisse. Il melone a Roma era chiamato melangolo. Le qualità del bon melone sono descritte nella seguente epistola di Antonio Bauderon de Senecè, poeta famoso e dottore illustre della Sorbona:
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quella parte. Vuolsi che cotto e lasciato riposare 24 ore, acquisti di bontà. Se affonda nell'aqua è buono. Del seme generalmente si sceglie quello
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata, i semi durano fino al settimo anno. Varietà: lunga dolce (hortensis), quando è cotta chiamasi da noi: bojocch, la rotonda à radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 per cento d'aqua. La rapa è più saporita da ottobre a febbraio. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato, se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla per foraggio, e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino, che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Nel linguaggio delle piante: Sei scipito. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè anno sentito il freddo.
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carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 per cento d'aqua. La rapa è più saporita da ottobre a febbraio. Si sfetta
— Scegliete rape di eguale grossezza, tagliatele a forma di pera, mettetele per due minuti nell'aqua bollente, lasciate scolare, mettetele sul fondo d'una casserola unta di burro, una vicina all'altra. Dopo aver loro fatto prendere il colore con burro e zuccaro, mettetevi un po' di brodo bono, aspergendole di zuccaro in polvere, una presa di sale e un pezzo di cannella non rotta. Mettete la casserola, coperta, al fornello, con foco sopra e sotto. Cotte, scopritele e riponetele in un piatto asciutte. Indi unito un po' di brodo bono, a quello che resta nella casserola, date un bollo e ritirate la cannella, versate la salsa sulle rape e servite.
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— Scegliete rape di eguale grossezza, tagliatele a forma di pera, mettetele per due minuti nell'aqua bollente, lasciate scolare, mettetele sul fondo
. Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama tesoro delle paludi. Nel IX secolo era già coltivato in Sicilia. Nel 1481 il riso è annoverato fra i prodotti del Mantovano. Nel 1521 fra quelli di Novara e Vercelli. Da noi il migliore è il Milanese, il Novarese e quello delle Puglie. I medici gli danno virtù calmanti, astringenti, anti-etiche. Gli Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte ingegnose manifatture. Se ne fa carta leggerissima e finissima anche per sigarette. L'acqua di riso fa diventare bianca e morbida la pelle. I Milanesi dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Si dice che il riso come viene va, viene dall'aqua e in aqua va. Il riso è la ricchezza dei nostri fittaioli: Fittavol de ris, fittavol de paradis.
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dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Si dice che il riso come viene va, viene dall'aqua e in aqua va. Il riso è la ricchezza
Riso in cagnoni. — Fate cocere il riso nell'aqua salata e poi levatelo asciutto dall'aqua. Preparate intanto quattro acciughe, ridotte in pasta con poca cipolla, fate tostare con burro ed olio d'olivo. Indi unite il riso rimestandolo bene e conditelo con sale, pepe e noce moscata e bon formaggio trito di grana.
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Riso in cagnoni. — Fate cocere il riso nell'aqua salata e poi levatelo asciutto dall'aqua. Preparate intanto quattro acciughe, ridotte in pasta con
Farina di riso preparata in casa. — Di rado si trova della bona farina di riso. Ecco in qual modo potete prepararvela. Dopo lavato il riso fatelo bollire in poca aqua ben limpida finchè sia disfatto, lasciatelo sgocciolare, stendetelo sopra un foglio di carta e fatelo seccare al sole. Quando sarà ben secco pestatelo nel mortaio e stacciatelo. Questa farina che è già cotta, basterà gettarla nel brodo che bolle, o nel latte parimente bollente ed addolcirlo con zuccaro, per avere una minestra rinfrescante e nutritiva.
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bollire in poca aqua ben limpida finchè sia disfatto, lasciatelo sgocciolare, stendetelo sopra un foglio di carta e fatelo seccare al sole. Quando sarà
Conserva di grattaculi. — Prendete grattaculi maturi, metteteli al sole un paio di giorni ad appassire. Indi poneteli in fusione per un paio di giorni nel vino. Fateli bollire in caldaia nel medesino vino a che siano disfatti. Se abbisogna aggiungetevi vino. Ridotti in poltiglia passateli allo staccio doppio, intanto che sono caldi. Mettete altrettanto peso di zuccaro in un padelotto con un bicchier d' aqua per chilo di zuccaro, e fate bollire. Purgate lo zuccaro con un chiaro d'ova e e schiumate, e quando lo zuccaro è limpido e fila, unite la salsa, rimenate con spatula di legno, incorporate il tutto a foco — fatene evaporare bene l'umido della pasta e versatela in un vaso di terra conservandola chiusa in luogo asciutto. Se ammuffisce è segno che non è cotta abbastanza, rimettetela ancora nella pentola. Si allunga, per gli usi, con vino, aceto, limone, tanto a freddo, come a caldo. È squisitissima col lesso, coll'arrosto e colle ova, principalmente quelle in camicia. Nè voglio terminare senza suggerire alle signorine, che anche colle altre rose, in ispecie quella comune (Rosa gallica, rosa fragrans), la rosa d'orto, la rosa rossa, quella di maggio insomma, della quale gli speziali fanno un'infusione per uso esterno, nelle oftalmie principalmente, si fanno conserve e sciroppi. Ecco la ricetta. Prenda dunque la signorina, dei bottoncini di detta rosa, li separi dal gambo, li ammacchi con pestello di legno in mortaio di marmo, finchè li riduca in massa molle e allora vi aggiunga due volte il loro peso, di zuccaro fino, polverizzato, agitando e rimestando la massa onde formi un tutto omogeneo. Questa conserva à sapore dolce ed odore di rose, è rinfrescante ed è leggermente astringente. Se invece dei bottoni di rosa si volessero adoperare per comporta le foglie fresche o secche, in allora invece di impastarla con lo zuccaro, quale ò detto sopra, si userà lo zuccaro stesso cotto a manuscristi, evaporando poscia la massa a lento calore fino a consistenza di conserva. Avvertite che le rose allora vanno colte prima che si aprano del tutto. Nel medesimo modo si prepara la conserva d'assenzio, ecc.
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staccio doppio, intanto che sono caldi. Mettete altrettanto peso di zuccaro in un padelotto con un bicchier d' aqua per chilo di zuccaro, e fate bollire
Insalata di scorzonera. — Pulita e bollita la scorzonera in molta aqua, perchè vi perda l'amaro, levatele il fusto centrale, tagliatela a pezzi e conditela con olio, aceto, sale, pepe e poco zuccaro. Preparate questa insalata tre ore prima del pranzo e solo al momento di servirla, lasciate sgocciolare tutto il liquido che vi sarà raccolto al fondo, aggiungetevi olio e rimestatela bene.
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Insalata di scorzonera. — Pulita e bollita la scorzonera in molta aqua, perchè vi perda l'amaro, levatele il fusto centrale, tagliatela a pezzi e
La segale è pianticella germinacea, annua, indigena. È il cereale dei paesi freddi, montuosi. Si semina in autunno e raccogliesi nell'estate vegnente. Nel linguaggio dei fiori: Bisogno. Matura più presto del frumento. La segale è meno nutritiva del frumento e meno atta a far del pane che riesce umidiccio e di diffìcile digestione. Viene nullameno usata a far pane nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania settentrionale e specialmente in Russia dai poveri contadini. Mista però alla farina di frumento rende il pane più bianco e saporito e lo conserva fresco più a lungo. Viene pure mescolata col melgone. Messa nell'aqua, la farina di segale serve per bevanda rinfrescante e nutriente per il bestiame. La farina di segale è pure adoperata in medicina per uso esterno come mollificante e risolutivo. In Russia se ne fabbrica una specie di birra nazionale, chiamata Quass. In Groenlandia questa birra la chiamano Tollwasser (aqua che fa impazzire). La paglia lunga e forte, per la molta silice che contiene, è utilissima a coprire capanne campestri, tettoie, grondaie, ecc. Una specie di malattia che sopravviene al grano della segale, dà una grande importanza a questa, nella medicina, sia come generatrice di morbi, sia come potentissimo sussidio terapeutico ed ostetrico, ed è quella conosciuta sotto il nome di segale cornuta o chiodo segalino, in francese ergot. Il suo nome dal celtico segàl che significa falce, d'onde in latino il nome generico segestes alle biade, che si falciano, mentre i legumi e le frutta si colgono. La segale non pare fosse conosciuta dai Greci, nessuno dei loro scrittori ne parla. Dei Latini il solo Plinio ne fa menzione, ma come di grano infimo e di nessun conto.
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melgone. Messa nell'aqua, la farina di segale serve per bevanda rinfrescante e nutriente per il bestiame. La farina di segale è pure adoperata in
erbacea, annuale, indigena, piuttosto coltivata che spontanea, fiorisce in giugno e luglio. Si propaga per semi in primavera, vuol terreno mobile, fresco, sostanzioso. Il seme va gettato rado e coperto leggermente e vanno sradicate le pianticelle troppo vicine, sarchiate se bisogna. Il raccolto si fa subito che i fusti incominciano ad ingiallire e quando alla maggior parte dei fiori inferiori succedono dei semi nerastri, che sono i migliori, senza aspettare che maturino gli altri, che sono gli infimi e fanno perdere i primi. Tagliate le pianticelle, lasciatele alquanto in riposo, perchè i semi finiscano di perfezionarsi, poi battete, vagliate, crivellate. I semi conservano la loro facoltà germinativa per tre o quattro anni, purchè distesi in granaio arioso. Per gli usi medicinali servirsene il più presto possibile, perchè quanto più è recente, tanto più è migliore: al secondo anno comincia già a deteriorare. Nel linguaggio dei fiori: Dispetto. Àvvene due varietà: la bianca e la nera. La prima à fiori grandi d'un giallo pallido,, di sapore delicato, viene coltivata molto in Inghilterra e preferita per uso gastronomico. La nera à fiori piccoli gialli, dà seme più minuto ed à sapore più forte ed acuto, e questa è la più usitata. Polverizzato il seme della senape nera, serve a preparare coll'aqua, o col mosto, o coll'aceto, o collo zuccaro, o col brodo, o misto a droghe e sapori, le varie paste liquide dette mostarde o salse di senape, in uso giornaliero per la tavola. I giovani getti della senape si mangiano in insalata. La specie detta della China, dalla sua provenienza, arriva fino ad un metro e più di altezza. À larghe foglie, fiori gialli. Si semina in agosto, bisogna irrorarla quando nasce. I semi anno virtù germinatrice fino ai 4 anni. In capo ad un mese si possono raccogliere le foglie che danno un prodotto abbondante, che si cucinano ed ànno un gusto gradevole. È uno dei legumi più apprezzati dei paesi caldi. La senape eccita l'appetito ed aiuta a digerire. A prevenire e sopprimere la sua azione topica sulle mucose nasali applicate alle narici un po' di mollica di pane fresco. È antichissimo l'uso gastronomico della senape. Columella, de re rustica, ci conservò la ricetta di due salse che componevano i Romani. L'una, quale press' a poco la facciamo noi oggi, e serviva per condire le rape, l'altra con pignola ed amido, che raggiungeva esimia bianchezza, serviva al più nobile uso, di tornagusto per carni lessate e pesci. Galeno suggerisce di renderla dolce. È colla senape che si fabbrica la mostarda e lo si rende più o men dolce coll'unirvi zuccaro, miele o mosto d'uva, mostarda viene da mosto. La senape stuzzica l'appetito, favorisce la digestione e rallegra lo spirito. Il filosofo Kant usava masticarne i semi per rinvigorire la memoria. La senape serve in medicina a farne i così detti senapismi, e se ne cava un olio risolutivo. È eminentemente antiscorbutica. Lo storico Ray narra che all'assedio della Rocella, dove lo scorbuto aveva già colpito centinaia di soldati, la malattia si arrestò prontamente, facendo prendere a tutti come rimedio e preservativo l'infusione di senape nel vino bianco. Dietro ciò l'ammiragliato d'Olanda, prescrisse che tutti i vascelli dovessero sempre portarne seco sufficiente provvigione. La Scuola Salernitana dice della senape:
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più forte ed acuto, e questa è la più usitata. Polverizzato il seme della senape nera, serve a preparare coll'aqua, o col mosto, o coll'aceto, o collo
Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato, si semina da gennaio a tutto settembre per averne l'anno intero. Il seme dura per 5 anni. Nel linguaggio dei fiori dice: Confidenza. Pongasi cura a coprirlo leggermente dal freddo e a tenerlo pulito dalle erbe selvatiche. Fra le varietà di spinacci notiamo quello d'Inghilterra a semi pungenti, a lunghe foglie, quello d'Olanda a foglie rotonde, di Fiandra, quello a foglie di lattuga larghissime, infine la recente varietà Viroflay, la quale sorpassa in prodotto tutte le altre. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua; migliore il primo metodo. Si mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fa torte e puree, si marita alla frittura e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu portato lo spinaccio dagli Arabi in Spagna e dalla Spagna in Italia, e dapprima erano detti spagnacci, d'onde la corruzione spinacci. Serapione invece assevera che in lingua araba sono detti spanacli. Altri invece vogliono il suo nome da spina, perchè la sua semente è a punta spinosa. Opinano alcuni scrittori che lo spinaccio non fosse conosciuto dagli antichi, ma pare che fossero da questi indicati sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che l'atriplex e il blitum erano:
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in prodotto tutte le altre. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua; migliore il primo metodo. Si
, ecc. I nostri medici del medio evo ordinavano il decotto di spinaccio a quelli che tossivano la mattina. Onde i milanesi ànno conservato il proverbio: vess battezzaa con l'aqua de spinazz. Lo spinaccio è acre nella state. È contrario a quelli che sono afflitti da calcoli artritici. La lattuga mescolata agli spinacci li rende più dolci.
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proverbio: vess battezzaa con l'aqua de spinazz. Lo spinaccio è acre nella state. È contrario a quelli che sono afflitti da calcoli artritici. La lattuga
Spinacci à la maître d'hôtel. — Messi nell'aqua bollente, quando li togliete, buttateli nell'aqua fredda, indi spremuti metteteli così, senz' altro, in casseruola con sale, pepe, noce moscata. Fate cocere a bagnomaria e quando sono caldi unite un po' di burro fre sco e rimestateli.
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Spinacci à la maître d'hôtel. — Messi nell'aqua bollente, quando li togliete, buttateli nell'aqua fredda, indi spremuti metteteli così, senz' altro
Spinacci à la vieille mode. — Cotti nell'aqua e spremuti, metteteli in casserola con burro e noce moscata. Dopo alcun tempo, aggiungete burro con farina lavorati insieme a zuccaro e latte, rimestate.
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Spinacci à la vieille mode. — Cotti nell'aqua e spremuti, metteteli in casserola con burro e noce moscata. Dopo alcun tempo, aggiungete burro con
Il Susino di macchia o Pruno selvatico (Prunus selvatica, spinosa, Druparia spinosa) comune nelle selve, macchie e siepi, dà fiori odorosi in marzo ed aprile, frutto nero violaceo in maturanza verso il settembre, di sapore acido aspro. La scorza del suo tronco e della radice contiene tannino e viene usata nelle arti alla concia delle pelli e a farne inchiostro, è astringente, febbrifuga. Le foglie pure sono astringenti. La sua aqua distillata à virtù deprimente quasi come il Lauro cereso, i bottoni e i fiori sono lassativi. Le drupe essendo aspre, danno bon aceto. Mature servono a colorire il sidro ed il vino, anzi a fabbricarne una specie che chiamasi piquette in Francia, Scheleckenwein in Germania; seccate al sole ed infuse in vero vino gli danno sapore austero. Colla distillazione somministrano un'aquavite abbastanza spiritosa, ed acconciandole con alcool, zuccaro e aromi se ne ottiene un grato rosolio.
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viene usata nelle arti alla concia delle pelli e a farne inchiostro, è astringente, febbrifuga. Le foglie pure sono astringenti. La sua aqua distillata à
Susine secche al giulebbe. — Prendete delle susine di Provenza od anche Damascene, nella dose di otto ettogrammi, bagnatele con aqua tepida, e lasciatele
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Susine secche al giulebbe. — Prendete delle susine di Provenza od anche Damascene, nella dose di otto ettogrammi, bagnatele con aqua tepida, e
Essiccazione delle susine. — Nel mezzodì della Francia si essiccano in tre modi diversi, due per quelle che maturano d'estate, l'altro per quelle che maturano più tardi: 1.° Ad Agen si aspetta che le susine cadano da sè e non si scote che leggermente la pianta se non quando la stagione è di già avanzata. Si raccolgono ogni giorno, si lavano se non sono pulite, si espongono al sole disposte su dei graticci di vimini per due giorni, rivoltandole frequentemente, e si termina l'essiccamento al forno, introducendole in esso per tre volte, ed aumentando gradatamente la temperatura, perchè il frutto non si screpoli. Se l'operazione è ben fatta, le susine presentano una consistenza alquanto elastica e la buccia lucente e ricoperta del fioretto, che è una specie di materia cerosa. Così preparate si conservano in luogo secco e s'incassano pel commercio. 2.° A Brignolles si raccolgono alla fine di luglio od in agosto, si pelano coll'unghia, s'infilzano su sottili rametti per modo che non si tocchino e si espongono al sole ogni giorno ritirandole la sera. Quando sono essiccate si toglie loro il nocciolo, si comprimono e si rimettono al sole. In commercio vanno col nome di pistoles. 3.° L'ultimo sistema è quello di tuffare i canestri contenenti le susine, nell'aqua bollente, farle poi asciugare al coperto, indi esporle al sole.
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'ultimo sistema è quello di tuffare i canestri contenenti le susine, nell'aqua bollente, farle poi asciugare al coperto, indi esporle al sole.
Fu nel Medio Evo e in Italia che si incominciò a impiegarvi il porco. Il Platina, del secolo XVI, nel suo libro De honesta uoluptate dice, che niente raggiunge l'istinto della scrofa di Norcia per scoprire i tartufi sotto terra. Dall'Italia questo modo passò in Francia dove il porco venne chiamato, con stile poetico, porc de course, couchon levrier, e il porco è ancora il principale agente di questa caccia. Un altro ausiliario del ricercatore dei tartufi è il cane. L'uso del cane è antichissimo, e naque pure in Italia. L'Inghilterra, dove il tartufo è poco comune, la Germania stessa, la Francia, ànno avuto da noi i barbini, come maestri modelli nell'arte. Nel 1724 il conte di Wakkerbart li portò in Sassonia a farne la caccia a Sedlitz. Augusto II re di Polonia, nel 1720 ne fece venire dall'Italia dieci che costarono cento talleri ciascuno. Fu pure un italiano, Bernardo Vanini, che ottenne il monopolio dei tartufi nel Brandeburgo, coll'obbligo di fornirne la cucina di Corte. Anche il Würtenberg ebbe due barboni dalla corte di Torino e in Germania vennero di moda e si chiamavano truffel-hunde, e canes tuberario venatici. Anche altre razze di cani sono suscettibili di questa educazione. L'uomo pure, di fine odorato, può fare questa caccia. La terra sollevata in certi punti, o presentante una fenditura, tradisce la presenza del tartufo più vicino al suolo e più precoce. Provatevi, e se non troverete il tubero, troverete certamente.... un sasso. Altra spia del tartufo è una certa specie di mosca detta helomyza (da helmius, verme) tuberivora, più lunga delle mosche comuni, d'un colore giallo-rosso, colle ali color fumo e macchiate di nero e che à il volo lento e permette di seguirla. La si vede quasi sempre solitaria sorvolare sul punto che cela il tartufo maturo, e del quale è ghiotta. È questa mosca, ed altre sue parenti prossime, che diedero ad intendere per molto tempo, essere i tartufi una particolare loro produzione, mentre invece ne erano le divoratrici. Fra questi segnali, il più conosciuto è l'ingiallimento, lo stato morboso ed anche la morte delle piante erbacee e dei piccoli arboscelli che vegetano sul luogo del tartufo. L'epoca della raccolta del tartufo in Francia è da novembre a marzo, ma sopratutto nel periodo di Natale. Ne sono ricche la Provenza, la Linguadoca, il Querey, il Pèrigord ed il Poitu. Il tartufo nero, o la melanospora è comune in Italia, Francia, Spagna, va fino in Inghilterra, a Rudloe nel Wiltshire, nella Sassonia e nell'Austria. Ne sono abbondanti da noi le montagne della Sabina e sopratutto Norcia. Il sapore, l'aroma ed il colore variano a seconda dei paesi. Quella di Piemonte è bianca e sarebbe il tuber hyemalbum. Pare che la bianca sia più propria dei paesi del Nord, o per lo meno la vi si trova più frequente. Avvi anche il tartufo rosso (tuber rufum) che in Provenza si chiama mourre de chin (muso di cane) che per il suo odore speciale è rigettato dal commercio. Vi à il falso tartufo, la genea verrucosa detta in Piemonte cappello di prete, il melanogaster variagatus, o muscato, la balsamia vulgaris, detta rosetta da noi. Si mangiano dai pochi intelligenti. Il solo tartufo falso che sempre si mangiò e si mangia ancora dagli Arabi è la terfezia leonis, o tartufo del deserto e delle sabbie. Dev'essere di quest'ultima specie il tartufo cucinato dai Romani che serviva a dar sapore alla salamoja e ad altre irritamenta gulae. Gli Ateniesi concedettero ai figli di Cherippo la cittadinanza, per avere introdotto un nuovo modo di cucinare i tartufi. L'Archistrato, o capo-cuoco in Atene, faceva servire alla fine del pranzo dei tartufi cotti col grasso, sale, ginepro e canella, e spruzzati di vino del Chjo. Cecilio Apicio, il celebre cuoco che viveva sotto Trajano, ci à lasciato varie ricette dei tartufi nella sua De re culinaria. Avicenna, oracolo della medicina d'allora, raccomanda di pelare i tartufi e di tagliarli a pezzi, farli bollire con aqua e sale, poi farli cocere con erbe aromatiche e servirli colla carne salata. Marziale antepone i funghi ai tartufi dicendo:
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tagliarli a pezzi, farli bollire con aqua e sale, poi farli cocere con erbe aromatiche e servirli colla carne salata. Marziale antepone i funghi ai
Questo diamante della cucina, entra signore in tutti i piatti, sì di carne che di pesce e di verdure. Il cuoco dove lo mette lo accompagna sempre con quel verso di Dante: «Qui si porrà la tua nobilitate.» Aquistando tartufi, badate alla loro durezza, odore e peso. Cucinandoli, se potete pulirli senza bagnarli, meglio — tanto meno di fragranza dispersa, se no lavateli in poca aqua assai tepida, per non dir fredda. La miglior maniera di mangiarli è ancora quella suggerita da Dioscoride. Tagliateli a fette sottilissime, metteteli in un piatto con, poco olio d'oliva, sale e pepe — coprite e mettete al fuoco. Quando il piatto scotta, rivoltatele un poco e servite aspersi di sugo di limone. Il calore sviluppa il loro aroma in tutta la sua potenza. Un'altra ricetta la potete trovare in Fungo.
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senza bagnarli, meglio — tanto meno di fragranza dispersa, se no lavateli in poca aqua assai tepida, per non dir fredda. La miglior maniera di mangiarli
Il tè, quale da noi è conosciuto, è la foglia essiccata, arrotolata e ripiegata in diverse maniere, di un arbusto sempre verde, che somiglia il mirto, coltivato in China e Giappone. Nel Giappone, da dove pare originario, viene seminato lungo le siepi e sul margine delle campagne. Dà fiori bianchi come le rose selvatiche, nel verno, à per frutto una capsula contenente un seme. Se si pota, dà fiori e semi una volta l'anno, rami novi e foglie in abbondanza: se non si pota dà fiori e semi tutto l'anno, ma poche foglie. Per ottenere maggior numero di queste, si colgono i fiori appena spuntano. Il tè potrebbe coltivarsi anche da noi. Nella China il suo nome volgare è tcha e il letterario ming. Nel Giappone tsjaa. Nel linguaggio dei fiori: Estasi. Nella China si fanno quattro raccolte. La prima da febbraio a marzo e fornisce il tè migliore (tè fiore, tè imperiale) che assai di rado si trova in commercio ed è riservato per l'imperatore e la Corte. L'ultima è la più scadente. Quattro chili di foglie ne danno uno di tè secco. Molte le varietà. I commercianti chinesi ne ammettono fino a 150, gli europei ne riconoscono una dozzina, che secondo il loro modo di preparazione, si classificano in verdi, neri e profumati. Il verde proviene per lo più da arbusti coltivati sul versante delle montagne, il nero da arbusti coltivati ne' campi concimati, il profumato è il verde ed il nero ai quali venne comunicato un particolare profumo. Ma ciò non à nulla di assoluto. La medesima pianta lo può dar nero e verde, e la differenza consiste in ciò che prima di essere torrefatto, il nero subisce una leggera fermentazione, lasciando la foglia ammonticchiata in una stanza per tre o quattro giorni, al quale trattamento il verde non è sottoposto, ed in ciò che il verde è colorato quasi sempre artificialmente, massime se destinato alla esportazione. Pare che la detta fermentazione decomponga nel tè nero certi principi, che in appresso gli darebbero forza e sapore, di maniera che il nero è inferiore al verde — è meno bono e forte. Al Brasile, dove si vuole avere il tè migliore del chínese, il nero si fa al sole e non al forno. Il tè di bona qualità, dà un infuso di color giallo-dorato, limpido, perfettamente aromatico, che, preso con moderazione nè troppo forte, riesce ugualmente favorevole allo stomaco ed al cervello. Questa bevanda aristocratica deve aver sempre un soavissimo profumo. Dal punto di vista igienico non bisogna abusare del tè verde per la sua maggiore e forse troppo forte energia, potendo produrre presso alcuni disturbi nervosi, e preso la sera arrecare l'insonnia. Balzac vuole che questi disturbi nervosi siano precisamente quelli che gli inglesi, con nome oramai cosmopolita, chiamano spleen e che poetizza certe figurette dell'Isola Britanna. Ad ottenere una bevanda molto aromatica e poco astringente, si deve mettere il tè per mezz'ora in infusione con piccolissima quantità d'aqua fredda e poi aggiungervi l'aqua bollente, versando nelle tazze l'infuso prima che divenga molto bruno. L'aqua fredda imbeve tutta la trama della foglia, e l'aqua bollente scioglie poi il tannato di teina, il quale precipita quando l'infuso comincia a raffreddarsi. Il primo infuso è più
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il tè per mezz'ora in infusione con piccolissima quantità d'aqua fredda e poi aggiungervi l'aqua bollente, versando nelle tazze l'infuso prima che
sostanzioso ed aromatico del secondo, il quale è pure molto astringente. La proporzione è di 20 grammi di tè ih un litro d'aqua bollente. Migliore l'aqua delle sorgenti e la piovana. L'aggiunta di alcune goccie di sugo di limone od altro acido vegetale, rende il tè più pie. cante e profumato. Nella Tartaria chinese e nel Cachemire e in altri paesi dell'Asia si mangiano le foglie del tè cotte in diverso modo, con burro, farina, ecc., e la loro ricchezza in albumina ne spiega il valore nutritivo. Il tè, come il caffè, è soggetto ad alterarsi sia per cattiva preparazione, che per cattiva conservazione. Il profumo del tè è volatile, non deve essere quindi esposto nè all'aria, nè alla luce: conservatelo in vasi chiusi ed opachi. Il tè s'impregna assai facilmente degli odori anche i più deboli: non mettetelo a contatto con sostanze odorose, anche quando l'odore di queste è gradevole. Troppo vecchio perde, è passato; troppo fresco è acre ed amaro. I Chinesi non se ne servono che stagionato di un anno. Aquista ad essere trasportato per mare, come il vino. La falsificazione del tè, è antichissima ed incomincia in China e nel Giappone per essere perfezionata in Europa dagli Inglesi. Si falsifica, coll'addizione di materie minerali, per aumentarne peso e volume, colla colorazione artificiale, colla rivivificazione dei tè esauriti, cioè già spogliati dei loro principi solubili: è industria tutta inglese. A Londra lo si raccoglie già usato nei caffè, negli alberghi, nei mucchi di lordure dei più sporchi quartieri di Shang-Hai. Nel 1843 a Londra vi erano otto fabbriche che lo falsificavano con sostituzione di foglie straniere, frassino, pioppo nero, platano, quercia, faggio, olmo, spinobianco, alloro, sambuco, ecc. Del resto molte piante danno foglie che possono surrogare benissimo il tè. A Sumatra si servono delle foglie del caffè. Nell'America del Sud e nel Paraguay sostituiscono al tè il mute, che chiamano tè mate (Ilex Paraguayensis). Nel bacino delle Amazzoni col guaranà (Paullinia sorbillis), nella Bolivia colla coca (Erytroxylon coca), che venne messa in musica su tutti i toni dal maestro Mantegazza. Volgarmente il tè viene denominato, dalla sua immediata provenienza, tè d'Olanda, di Russia, ecc. La storia del tè non è antica. Fu introdotto dagli Olandesi verso il 1610 che lo ricevevano dai Ghinesi in cambio della salvia. (Vedi in Salvia). Il tè nei Paesi Bassi serviva a designare i fautori del principe d'Orange e degli Inglesi, che lo preferivano al caffè. Un medico asserisce che l'uso del tè impedisce la formazione della pietra nella vescica (1).
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sostanzioso ed aromatico del secondo, il quale è pure molto astringente. La proporzione è di 20 grammi di tè ih un litro d'aqua bollente. Migliore l
La vaniglia o vainiglia, è il frutto di parecchie specie del genere vanilla; piante erbacee ed arrampicanti, originarie delle regioni calde dell'America e segnatamente del Messico e dell'Asia. La sua fecondazione vuolsi la si deva a degli insetti. À fiori bianchi screziati di rosso-giallo. Se ne conoscono quattro varietà: la planifolia, di cui la migliore cresce nelle regioni calde ed umide del Messico, della Colombia e della Guajana, coltivasi nelle Antille. La gujanensis di Surinam. La palmarum di Bahia fornisce qualità inferiori. La pompona, il vaniglione di odor forte, ma non balsamico, che ricorda quello dei fiori della vaniglia dei giardini (Heliotropium peruvianum), viene dalle Antille, à siliqua grossa e corta, è la più scadente. Queste piante, grosse come un dito, s'avvolgono al tronco degli alberi come la vitalba, il convolvolo e l'edera, e s'innalzano a grandi altezze. Il frutto della vaniglia, chiamato guscio, è una capsula carnosa, lunga 14-15 centimetri in forma di siliqua. La sua superficie dapprima verde poi colorata in bruno-rossastro molto intenso, è dotata di una lucentezza grassa. Contiene una quantità di semi estremamente piccoli, globulari, lisci, duri, neri e contenenti un succo denso e bruniccio, che, maturi, danno una fragranza squisitissima. La miglior vaniglia è quella del Messico, le cui capsule anno qualche volta la lunghezza di 22 centimetri . Epidendrum, dal greco Epi, sopra, e dondron, albero, cioè che corre sopra l'albero. Il nome di vaniglia dallo spagnolo vajnilla, piccola guaina. Nel linguaggio delle piante: Soavità. La vaniglia è uno degli aromi meno irritanti e dei più delicati ed importanti della cucina ghiotta — dà sapore alle carni, a tutti gli intingoli nei quali è introdotta — e serve principalmente per le cose di latte col quale si marita benissimo, per dare aroma al cacao e farne cioccolatta — per sorbetti, liquori, paste. Dà profumo pure ai saponi, entra in molte aque odorifere, per es. l'aqua di Cipro. In Europa si coltiva, da tempo, la varietà planifolia, nelle serre di Liegi, nel Giardino delle Piante a Parigi, e di Hillfield, House-rigate, dopo che Morren, nel 1857, à mostrato che si poteva fecondare artificialmente. Da quest'epoca la fecondazione e la produzione delle capsule si ottengono in tutti i paesi tropicali, e i frutti della vaniglia europea non la cedono nel profumo a quelli del Messico. La vaniglia fu introdotta in Europa dagli Spagnuoli dopo la scoperta dell'America. Gli Indiani chiamano arris arack, il liquore d'anice aromatizzato colla vaniglia. Per conservare la vaniglia la si chiude in una bottiglia di vetro o in un cannoncino di latta, cosparsa di zuccaro. In tal modo si ottiene lo zuccaro vanigliato che serve comunemente in cucina ed in pasticceria. Si falsifica la vaniglia con le vaniglie alterate, o raccolte troppo tardi, o esaurite coli' alcool e restaurate col balsamo peruviano o del Tolù — colla mescolanza di qualità inferiori, quali il vaniglione. Un guscio sano e bono di vaniglia, deve offrire intatta l'estremità ad uncino. La vaniglia in polvere è più soggetta ancora a falsificazione.
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odorifere, per es. l'aqua di Cipro. In Europa si coltiva, da tempo, la varietà planifolia, nelle serre di Liegi, nel Giardino delle Piante a Parigi, e
La virtù germinativa dei semi è di 6 anni. Nel linguaggio dei fiori: Ampolloso. La zucca è eminentemente prolifica. Nell'America settentrionale una sola pianta della zucca somministra alle volte tanti frutti di un peso tale, che uniti insieme passano i 20 quintali. Le varietà più coltivate sono: la verde lunga, internamente bianca. La bianca tonda, internamente gialla — quella a turbante, a corteccia strisciata di giallo, bianco e rossa — quella a trombetta, verde all'esterno, ambedue gialle all'interno — finalmente la verde quarantina, bianca internamente. Àvvene una specie anche perenne (cucumis perennis), che si coltiva in vaso, ma resiste anche in terra, quando venga difesa dal freddo e non ama come le altre il sole. Proviene dal Texas e dalla California. La zucca ama il caldo e l'aqua, della quale ne contiene l'80 per cento. Dalla zucca se ne può cavar zuccaro. Nel 1837, in Ungheria, se ne stabilì una fabbrica, non di zucche, ma di zuccaro. Le sue foglie verdi strofinate sugli animali ne fugano le mosche ed i tavani, come pure, bruciate secche, allontanano le mosche. Dai semi se ne ricava un olio verdastro combustibile e commestibile. Le zucche sono alcun poco medicinali. L'aqua espulsa dalla sua polpa è rinfrescativa al pari del siero del latte. Della polpa se ne fa un unguento che dicesi superare il malvino, il che è tutto dire ! I semi freschi vengono pure adoperati per scacciare la tenia (vermen solitari), forse l'unica cosa bona che possono fare le zucche, perchè riguardo al sapore è sempre... sapore di zucca. I Greci ed i Latini parlano tutti della zucca, ma tutti convengono in questo solo, che per mangiarla bisogna condirla, perchè da sola... è sempra zucca. Aulo Gellio ci racconta che perfino il filosofo Tauro la maritava a cena colle lenti, ed era un filosofo! La zucca non ricerca molta scienza nell'agronomo. Il botanico Scopoli à scritto l'istoria della zucca e degli usi suoi economici. La zucca cresce senza pretese, non ambisce onori, offresi generosa e spontanea alla mano dell'uomo, che in contraccambio la deride in un coll'asino. Mi sono rivolto ad un mio tenerissimo amico, professore in una delle nostre Università, chiedendogli il suo parere sul gusto, sulla maniera di servirsi delle zucche, sugli usi culinari e domestici, ecc. Vi do la sua risposta tale e quale:
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e dalla California. La zucca ama il caldo e l'aqua, della quale ne contiene l'80 per cento. Dalla zucca se ne può cavar zuccaro. Nel 1837, in
Capisco la satira. Trattandosi di zucche, ti sei rivolto ad un professore. Ebbene, non ti sei male apposto. Sappi che le zucche più vuote di questo mondo possono elevarsi alla più alta aristocrazia non solo di censo e di gradi sociali, ma altresì alla più alta aristocrazia culinaria. Tu potresti apprestare a' tuoi amici un abbondante, gustoso e variato pranzo quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche secche. La si fa cocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel latte. Se ne rileva il sapore con erbuccie, ova, spezie e collo zuccaro. La polpa delle zucche ed anche i fiori si mangiano fritte, ripiene, accomodate, triffolate, in fracassèe, in stufato ed in polpette. Se ne fanno torte, pasticci e perfino salami. Colle, piccole zucchette lessate o cotte alla brage, o colle tenere ci-, me delle piante bollite nell'aqua, si fa dell'insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di essa, fermentato, può fornire l'aceto. Colla zucca confettata con miele ed aromi, si provvede al dessert di saporite mostarde e confetture, che si rende ancor più vago abbellendole con piccole zucchettine imitanti le pera, le poma, gli aranci. Il pane si forma colla zucca ben cotta, impastata con la terza parte di farina. Finalmente coi semi di zucca puoi comporre orzate e simili gustose bevande. Che se questo simposio, vuoi prepararlo a' tuoi amici all'aria aperta, lo potrai gentilmente offrire sotto un pergolato coperto colle foglie di una pianta di zucca. Che ne dirò poi delle zucche vuote ? Colla scorza di esse puoi farne bottiglie, bicchieri, piatti, cucchiai, forcine, coltelli, mestole, saliere, lucerne ove arda l'olio del seme suo, recipienti d'aqua, di vino, di liquori, tabacchiere, pipe e quello che vuoi. Le zucche vuote poi servono mirabilmente a sorreggere i mal pratici o novizi nuotatori. A questo proposito, vo' narrarti un aneddoto di Bellavitis e faccio punto. Bellavitis, mio illustre e celebre collega dell'Università di Padova, ora defunto, veniva un giorno supplicato da uno studente perchè gli fosse propizio nell'esame: Veda, professore, insisteva lo studente, se io non passo questo benedetto esame, ò l'inferno in casa mia! Sarei costretto a buttarmi in Brenta. Al che Bellavitis: Oh no xe pericolo per lu, perchè el sa che le zucche ì galleggia! Insomma, io non mi perito a chiamare la zucca la più utile delle verdure ed è ingiusto adoperare il suo nome per insultare alle teste umane. Rispetta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello. Lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore, di generale ! Un bacio e vale.
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, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche secche. La si fa cocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel
sì che l'aqua ne esca tutta, e involgetele nella seguente pastina. Sciogliete a fuoco lento un pezzo di burro, unitevi fior di farina, bagnate la pasta con del latte, mettetevi sale e raschiatura di scorza di limone, poi, togliendola dal fuoco, incorporatevi tre tuorla d'ova e tre' chiara alla fiocca, e fate che la pasta riesca liquida anzichè no. Involgetevi i fili di zucca, friggeteli con burro, strutto, o meglio coli' olio bollente e serviteli collo zuccaro.
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sì che l'aqua ne esca tutta, e involgetele nella seguente pastina. Sciogliete a fuoco lento un pezzo di burro, unitevi fior di farina, bagnate la
Nè lo zuccaro si estrae solo dall'arundo saccarifera. Abbiamo lo zuccaro di barbabietola, di castagne, d'uva, di latte, e trovasi pure nei succhi di molte piante, nelle radici, nei frutti e persino nelle carni di animali. Il diverso sapore o colore dipende dalla sua purezza, dal grado più o meno intenso di dolcezza, perchè da qualunque origine pervenga, quando è puro, è sempre la stessa cosa e non avvi differenza tra zuccaro e zuccaro. La scoperta dello zuccaro di barbabietola è dovuta al tedesco Margraff; il primo ad estrarlo in grande fu Achard di Berlino. Il metodo per ricavarlo, dopo ripetute esperienze, è stato perfezionato in Francia. Non si riduce che con estrema difficoltà alla bianchezza, asciuttezza e cristallizzazione di quello di canna. Anche da noi abbiamo tali fabbriche. Quello di castagne è di una cristallizzazione assai minuta, è molle, biondo, dolcissimo con legger sapore di castagna: si può ridurlo in pani. Lo zuccaro di latte si fabbrica in grande nella Svizzera, è bianchissimo, cristallizzato in piccoli cubi, poco solubile nell'aqua fredda, solubilissimo nella calda, di sapore dolciastro, senza odore quando è ben puro. Si adopera come alimento e come medicamento. Lo zuccaro di uva non à forma regolare, è in piccoli tubercoletti, in bocca produce prima una sensazione di fresco, indi un sapor zuccherino debole, così che ne abbisogna doppia quantità. Lo spirito di vino e l'aqua lo sciolgono più a caldo che a freddo. Questi zuccari ebbero interessante commercio in Europa al tempo del famoso blocco di Napoleone. Oggi quello solo di barbabietola à larga parte in commercio. Lo zuccaro si adultera con spato pesante, gesso, creta, farina, destrina, ma queste frodi sono possibili solo collo zuccaro in polvere od in pezzi (pile) e si devono in generale attribuire ai negozianti rivenditori. Del resto, tali materie si tradiscono facilmente, perchè sono insolubili. Acquistate il vostro zuccaro in pani, o madri di famiglia, perchè in pani, la frode è quasi incompatibile colle singole e molteplici operazioni di quest'industria. Lo zuccaro si sofistica pure col glucosio. Il glucosio è altra delle varietà di zuccaro e si prepara generalmente trattando l'amido, o fecola di patate con acido solforico o cloridrico. Quando è chimicamente puro, cioè affatto esente da sostanze eterogenee, non presenta altra differenza dello zuccaro di canna se non che nella sua virtù dolcificante, la quale sarebbe un terzo appena. Ma raramente il glucosio è purissimo, e spesso lo si trova nello zuccaro grasso, a cui si ricorre per economia. Oltre alla mancanza di sapore, c'è a temere sia nocevole; attenetevi dunque allo zuccaro in pani. L'adulterazione dello zuccaro col glucosio è fatta su una scala enorme in America.
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solubile nell'aqua fredda, solubilissimo nella calda, di sapore dolciastro, senza odore quando è ben puro. Si adopera come alimento e come
Per fare 15 chili di sciroppo vergine. — Mettete in un bacino 10 chili di zuccaro con 4 litri d'aqua, mescolate e mettete a foco. In una catinella mettete intanto il bianco di 2 ova, con 1 litro d' aqua, sbattete aqua e bianco d' ova, e quando lo zuccaro comincia a bollire, versate quest'aqua, poco alla volta, indi, collo schiumatolo togliete tutte le materie che vengono alla superfìcie. Quando la schiuma è bianca, l'operazione è finita: passate al panno lo sciroppo mentre è bollentissimo e conservate per gli usi. Fatto così, gli si uniscono poi i gusti dei frutti, colle necessarie cotture per ottenere conserve.
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Per fare 15 chili di sciroppo vergine. — Mettete in un bacino 10 chili di zuccaro con 4 litri d'aqua, mescolate e mettete a foco. In una catinella
ogni sorta di gusti, mettendo qualche goccia d'essenza nella quantità voluta di sciroppo cotto in tale maniera. Più di cosi lo zuccaro non si può cocere, perchè non contiene più aqua e cocendo si à lo zuccaro bruciato, poi diventa nero e si carbonizza.
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cocere, perchè non contiene più aqua e cocendo si à lo zuccaro bruciato, poi diventa nero e si carbonizza.
a Si ottiene facendo ancora bollire di più della terza, e ogni momento si bagna una cannetta di legno nello sciroppo e si tuffa nell'aqua fresca. Quando lo sciroppo attaccato alla cannetta prende la consistenza di caramella e si rompe come ghiaccio, allora è fatto e si chiama alla caramel. Le caramelle si fanno con
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a Si ottiene facendo ancora bollire di più della terza, e ogni momento si bagna una cannetta di legno nello sciroppo e si tuffa nell'aqua fresca